Il mese di marzo ha segnato l’inizio della crisi pandemica del Coronavirus, con gravi conseguenze anche sul sistema carcerario italiano. Tra queste, uno degli eventi più significativi è stata la rivolta nelle carceri, che ancora oggi non è del tutto placata.
Le carceri italiane sono state scosse da una serie di rivolte il 9 marzo, che si sono verificate da Milano a Roma, da Napoli a Modena, da Foggia a Palermo. Il risultato di queste rivolte è stato disastroso: sette detenuti sono morti e circa settanta sono riusciti a fuggire (la maggior parte di loro è stata poi catturata). Inoltre, le strutture carcerarie hanno subito danni significativi. Tutto questo era purtroppo prevedibile, dato che il sistema carcerario italiano ospita 61.000 detenuti anziché i 50.000 previsti.
Nonostante la situazione sembri essere tornata alla normalità, in realtà il sistema penitenziario italiano continua ad essere vulnerabile. La pandemia del coronavirus ha messo in luce tutte le sue debolezze, lasciando l’impressione che si possa cadere nuovamente nel caos delle rivolte da un momento all’altro.
A Bologna, ad esempio, è stato segnalato il primo detenuto morto a causa del coronavirus, e altri due detenuti sono risultati positivi al COVID-19. Altri detenuti che sono entrati in contatto con loro sono stati messi in isolamento domiciliare. La stessa sorte è toccata a tre agenti penitenziari, mentre sono stati effettuati complessivamente 150 tamponi in tutta la struttura.
Questa è una situazione che deve essere monitorata attentamente e che potrebbe essere solo la punta dell’iceberg di uno scenario destinato a peggiorare nei prossimi giorni. Proprio per questo motivo, il sindacato UilPa della polizia penitenziaria ha chiesto al presidente del Consiglio di assumere temporaneamente il controllo diretto delle strutture.